When the levees break

ap_15485773_15440jpgSe c’è un’arte in cui i mastri sfornatori panicottari —che son sempre nel giusto e che non accettano mai alcun contradditorio— sono imbattibili, è quella di riuscire sempre a stupire in peggio e di saper sempre trovare la bestialità tale da far impallidire anche l’evento funesto che monopolizza l’attenzione.
«È ora di mettere da parte le diatribe, le critiche e le accuse».

Insomma nemmeno quando le peggiori conseguenze dei nostri errori sono sotto gli occhi di tutti la ragione può batter cassa: nemmeno quando i sismologi gli apprendisti sismologi in erba lanciano l’allarme e vengono dati per mitomani e querelati, quando gli edifici di soccorso necessitano loro stessi di aiuto per non trascinarsi appresso altri morti. Insomma nemmeno quando è chiaro oltre a ogni possibile scetticismo che c’è qualcuno che ha sbagliato e che questo errore l’hanno pagato in tanti con la vita, anche allora dobbiamo tacere, ché si manca di rispetto al lutto di chi ha perso parenti, casa e averi.

Quando Katrina ha fatto scempio di New Orleans mettendo su palcoscenico la triste Caporetto dell’amministrazione interna Bush, quando è stato chiaro che chi si doveva occupare della sicurezza di una zona densamente popolata, in un’area facile alla furia degli uragani come quella, non aveva assolto il suo compito, nessuno tra i media, gli amministratori o i cittadini americani ha parlato di «inopportunità» nella ricerca delle responsabilità e nelle accuse di inefficienza a chi si doveva occupare della sicurezza civile.
Non era accanimento, ricerca di un capro espiatorio o vendetta: era banalmente un’equazione di bilancio nel calcolo delle responsabilità di uomini deputati a prendere delle decisioni e ad applicare la loro pluri-dollarata professionalità.

8 thoughts on “When the levees break

  1. C’è di più: questi eventi funesti sono delle vere manne per molti. Che vuoi di più? Un terremoto, gratis per giunta, è il massimo che si potesse chiedere. Ora sorgerà L’Aquila2, l’Aquila3, dei bei quartieri tuttoplastica.
    Ecco perchè Silvio è così credente.
    Supersondra

      1. Beh, Arborea prima non si chiamava mica Mussolinia in onore del suo benefattore? Eh, adesso magari è tempo di un restyling d’immagine anche per il nome dell’Aquila…

  2. Hum.
    Ci terrei a (riba)dire che nessun sismologo ha dato l’allarme, è stato un tecnico di laboratorio con la passione per la geologia che ha incominciato ad andare in giro per la città col megafono a seminare il panico. Siccome l’errore con cui sono prevedibili questi eventi è troppo largo per attuare una qualsiasi operazione di sgombro efficace (ho studiato un po’ la questione delle previsioni dei sismi per una tesina all’università, quindi so di cosa parlo) è più che giusto che il tizio in questione sia stato querelato; i motivi dettagliati li ho spiegati altrove e al momento non ho tempo di ripeterli. Ti dirò anzi, che la gente che si comporta così, per reazione porta a sottovalutare un possibile allarme esistente.
    Gli errori sono molto più a monte di questo, in primis nella costruzione delle case che ha vagamente violato le norme antisismiche (i laboratori esterni del Gran Sasso, la cui costruzione non è andata in mano ai soliti noti, non hanno avuto una crepa), e poi in un mancato programma di addestramento che dovrebbe essere non solo fatto una tantum, ma periodicamente ripetuto in una zona che resta sempre e comunque a rischio sismico.

  3. Sì, hai ragione, non era un sismologo, e io scrivendo di getto ho fatto confusione tra lui —che è un amateur ed è andato per strade a gridare di scappare— e il laboratorio del GS che aveva rilevao le scosse in crescita e che aveva segnalato il possibile problema.
    Ma, a rischio di passare per complottista anch’io, ritengo che la questione dell’allarme al sisma abbia generato la solita guerra di trincea tra i «è un ciarlatano» e i «è un profeta».
    Prevedere può significare tante cose, e in particolare nel gergo comune include un misto di valutazione di rischio e di evento imminente.
    Supponiamo che un tizio obeso, sulla cinquantina, che non fa moto e che ha un’alimentazione sregolata e una vita stressata vada dal medico per una visita di routine. Il medico è facile che identifichi il suo come un comportamento «a rischio» d’infarto al miocardio. Questo non significa che lui l’infarto lo avrà certamente, e men che meno si può prevedere quando e come avrà questo infarto; si tratta di una valutazione probabilistica. Ecco, supponiamo che questo stesso tizio improvvisamente dica di soffrire di dolori acuti alla parte sinistra del torace e al braccio sinistro, di capogiri, fiato corto e di vomito. Ragionevolmente, con le premesse di cui sopra per il fattore di rischio, il medico penserà a un infarto in corso o imminente (da prendersi con le pinze la descrizione di ogni sintomo: non sono un medico).
    Fatte le debite proporzioni, che Abruzzo, Molise, Sicilia e Friuli siano zone a rischio è un dato acclarato e conclamato. Avere un climax crescente di scosse come quelle registrate non solo dall’improvvisato geologo è dato come sintomo di grande scossa in arrivo con un’accuratezza abbastanza alta. È chiaro che non si poteva sfollare l’Aquila e tutto l’interim per non si sa quanto tempo e col rischio che poi la scossa non arrivasse o arrivasse cento chilometri più in là, ma ci andrei cauto facendo questione di bianco e di nero con relative querele per questioni come queste.

    Sugli errori a monte non c’è niente da aggiungere, lo penso e l’ho scritto che sono il vero problema quando si parla di 300 morti per un sisma in una regione in cui il sisma è atteso.

    1. Beh, tra un infarto e un terremoto c’è la differenza che chi è vittima di un terremoto non può far nulla per evitare che arrivi, ivi incluso lo sfollamento. Tuttavia, anche volendo portare avanti il paragone, se tu a un uomo a rischio di infarto gli vai a urlare che morirà, glielo fai solo che venire prima. Ciò detto, sono assolutamente d’accordo che andava diffusa una qualche consapevolezza del rischio, solo in modi più opportuni – il panico fa sempre fare cose stupide – e magari, come entrambi abbiamo già detto, nel pacchetto includere anche una bella esercitazione che ti spiegasse come comportarti in caso di terremoto.
      Va anche detto che anche in presenza di un crescendo di scosse è davvero molto difficile capire QUANDO è il momento di intervenire; e se un’esercitazione antisisma prima o dopo tanta differenza non fa, c’è una grande indeterminazione nel decidere quando spostare risorse come quelle necessarie a formare una tendopoli, o dove. Ma chiaramente la costruzione di case che rispettino i criteri antisismici renderebbe superfluo l’uso di tendopoli.

      1. Ma non diciamo cazzate. Se —per assurdo— ci fosse un metodo per prevedere esattamente data e locazione di un sisma lo sfollamento coordinato salverebbe moltissime vite umane. È chiaro che non è così allo stato attuale della prevenzione ed è altrettanto chiaro che si stava parlando di un paragone, per distinguere tra richio e evento imminente.
        Comunque ribadisco il concetto: secondo me è assurdo fare le solite guerre di trincea tra oltranzisti. Il tizio non era assolutamente un profeta né tantomeno un addetto ai lavori, ma da qui all’abbracciare il fatalismo cosmico e populista del «tutto è imprevedibile, nulla poteva farsi» ce ne passa. Poche ore prima della grande scossa del ’95, in Giappone, alcune stazioni dei pompieri erano state preallertate dai sismologi e avevano richiamato in servizio alcuni uomini: il motivo era l’attività sismica al tempo definita «strana» e cadenzata da scosse crescenti a intervalli regolari. Avevano dato lo stesso pre-allarme anche due mesi prima, ma non era successo niente e lo sciame di scosse s’era sopito in poche ore.
        Non c’è una scienza esatta dietro lo studio di queste scosse, ma bollare come tout court «impossibile» ogni forma —anche blanda— di prevenzione secondo me è una cazzata, visto che empiricamente una relazione sembra proprio esserci.

  4. L’hai detto tu, per assurdo. I metodi per prevedere i terremoti, per la natura ergodica dell’evento (tanto per fare un esempio, il tipo di errore da cui sono affette le previsioni sismiche è lo stesso che riguarda le previsioni del tempo, con la differenza che in quest’ultimo caso le osservazioni dirette sono possibili), vanno bene per le medie sul lungo periodo o per il singolo evento nel brevissimo periodo, e con brevissimo intendo dell’ordine di una manciata di minuti, sufficienti perché gente addestrata sappia come salvare il gambino, non certo per sfollare.

    Poi, se avessi visto il mio link su facebook, sapresti che anche io condanno il fatalismo italiano, non solo però delle istituzioni, ma del popolo stesso vittima del terremoto; fatalismo che è figlio di una certa visione della vita secondo la quale, ad una distanza di tempo sufficientemente lunga da un evento disgraziato, le cose brutte non capitano mai o semmai capitano ad altri, e lo stesso concetto di disgrazia, incidente o morte va allontanato il più possibile da noi. Visione della vita ampiamente promossa da un certo tipo di cultura edonistica occidentale. Ad esempio, io so cosa devo o non devo fare, casomai capitasse un terremoto; ma se provo a parlarne la gente mi guarda con tanto d’occhi, sia perché quello che bisogna fare non è intuitivo, sia perché sembra loro patologico che io sia andata ad informarmi su queste cose. Sei giovane (?), cosa vuoi che ti capiti? Più o meno è questo il tenore dei discorsi che sento.

    Io dico che compito delle istituzioni è provvedere ad istruire i cittadini (e ad abituarli, perché no, all’idea che il terremoto CI SIA, in modo che non caschino dalle nuvole ogni volta), far costruire le case come dio comanda, e fare il possibile per ammortizzare il danno. In questo senso, allertare le stazioni dei pompieri e rimpolpare temporaneamente il contingente può non essere una cattiva idea (anche se, nonostante questi interventi, c’è stato comunque un gran numero di morti nel 1995 a Kobe, perché i criteri antisismici non erano aggiornati) , ma è ben diverso dal mettere in allarme e in panico delle persone che non hanno la minima idea di come comportarsi o dove andare. Cioè, fammi capire, se sapessi che sta arrivando la peste a Milano, chi avvertiresti per primo, la stampa o la sanità? O se vogliamo, al potenziale infartuato di cui sopra, se anche lo metti in guardia ma non gli dici cosa deve fare per evitare che quest’infarto lo sotterri, non è che l’aiuti molto.

    E lo stesso, “avvicinare le risorse” per allestire una tendopoli, come delirava Santoro, è un provvedimento che per l’onere e i disagi che comporta rapportati al rischio, non viene messo in atto da nessuna parte (né in Giappone, né negli States, né altrove).

    [Riassumo. Non sono dalla parte dei fatalisti, e non mi sembra di aver detto che la prevenzione è impossibile; ma dire alla gente di un comune italiano “nei prossimi giorni probabilmente ci sarà un terremoto”, allo stato attuale della loro preparazione a riguardo, è come dire niente (cioè non serve a un cazzo se non sanno cosa fare), e NON è a questo tipo di prevenzione che bisogna puntare per limitare i danni.]

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